La recensione potrebbe contenere spoiler
Idroscalo di Ostia. 2020.
Dopo la demolizione di metà delle abitazioni e il trasferimento delle famiglie sfollate in resort “temporanei” e precari, dal 2010 ad oggi le cinquecento famiglie rimaste resistono per mantenere in vita la comunità e per non doversi separare dalle case che hanno faticosamente costruito e tenuto in piedi per una vita. Quella dell’Idroscalo è una zona di grande interesse economico perché sorge lì dove il Tevere incontra il mare. Quella dell’Idroscalo di Ostia è un’esistenza sospesa, fatta delle piccole cose che custodiscono il tutto.
Il Contemporanea International Film Festival ha ospitato giovedì 7 il secondo film della sceneggiatrice e regista Francesca Mazzoleni che, dopo l’esordio con il coming of age “Succede”, si dedica al documentario. Una storia a cui lavorava da anni e che conserva quello stile fresco e apparentemente sbarazzino sperimentato già nel lungometraggio d’esordio.
Ciò che colpisce sin dalle prime inquadrature di “Punta Sacra”, infatti, è lo stile pop ed estremamente cinematografico che coglie le giovani protagoniste del film intente nell’ozio serale e impegnate in classiche conversazioni adolescenziali. A rendere l’atmosfera ancora più lieve è una colonna sonora sognante e spensierata che pare totalmente incoerente rispetto all’ambiente inospitale e diroccato in cui le ragazze si trovano.
Ecco che scopriamo, con Mazzoleni, una Punta Sacra diversa da quella descritta dai giornali. La regista ci racconta un mondo quasi magico, ancorato ad antichi valori e ideali ormai (tristemente) fuori moda, come la libertà e i diritti. Un nido in cui gli adulti rivendicano un tetto sotto cui vivere e denunciano la brutalità della speculazione edilizia mentre le bambine e i bambini si scambiano piccoli fatti quotidiani delineando, con i loro racconti, una realtà per niente banale e svelando, inconsapevolmente, temi tutt’altro che ingenui e innocenti.
L’Idroscalo diventa, dunque, da un lato maledizione e dall’altro rifugio e paradiso. Una terra ricca di potenziale la cui comunità di appartenenza non riesce a liberarsi da una condizione di povertà. Un luogo in cui la lotta e la politica si mescolano e confondono con la quotidianità perché, in fondo, la sopravvivenza ha la priorità su tutto.
Quando parliamo di sopravvivenza, in questo film, non intendiamo solo il costante e tenace lavoro della comunità per tenere in piedi le proprie case, aggiungendo qua e là lamiere alle finestre per proteggere dal vento e rafforzando i tetti che crollano durante le alluvioni invernali.
“Punta Sacra” ci racconta di madri che fanno di tutto per garantire uno straccio di futuro alle proprie figlie, per crescerle nel migliore dei modi dando loro nuove opportunità e spingendole ad allontanarsi da quel posto.
Eppure l’Idroscalo non è così facile da abbandonare. Come racconta Chiky Realeza, rapper della zona i cui brani arricchiscono il film, quando ci nasci in quella roba lì, sei quella roba lì, non puoi levartela di dosso e non devi vergognarti di appartenerci, perché ad essere gli ultimi, si è costretti a diventare più forti.
Se il film tratteggia un dipinto, in modo a volte ironico e leggero, di una comunità abbandonata, non passa inosservata la volontà di raccontarla attraverso uno spaccato della società fortemente matriarcale. Al centro della storia, infatti, c’è Franca Vannini. Madre, nonna e donna con una forte fede nei vecchi ideali comunisti e appassionata all’arte pasoliniana, Franca è il cuore della comunità, colei che la tiene in vita e che cerca di creare innumerevoli stimoli per tenere sveglie le nuove generazioni. Dalle feste, alle manifestazioni, alla radio di paese.
Franca dirige e dà forza. Allo stesso modo ampio spazio è dedicato alle vicende di un gruppo di adolescenti. Tra i primi amori, il desiderio di evadere e “fare cose da grandi” e gli intricati legami di amicizia, le ragazze rivelano i propri sogni e le proprie aspirazioni, il desiderio di andar via o quello di restare, forse anche trattenute dalla paura dell’ignoto.
“Punta Sacra” è la storia di una comunità che si rifiuta di essere sradicata, nonostante le contraddizioni e le difficoltà della propria terra. Una comunità che vuole restare perché, come dice il prete del paese: «essere custodi di un posto è diverso da essere proprietari del posto».
Francesca Mazzoleni riesce a restituire tutto questo con uno stile trasognato, dalle sfumature visivamente e musicalmente pop, permettendo allo spettatore di cogliere la bellezza del luogo e dei suoi abitanti.
Con una narrazione che a volte si appoggia alla fiction sviando dal totale realismo del documentario, la regista si dimostra qui ben più matura che nel film precedente, regalandoci una storia tanto vera e cruda quanto intima e piena d’amore.